Settembre, andiamo. E’ tempo di migrare… e ricominciare a stressarsi!

timesheetSettembre, andiamo.
E’ tempo di migrare.

D’Annunzio iniziava così la sua poesia sul rientro dei pastori abruzzesi dai verdi pascoli estivi; più o meno quello che succede anche anche a noi. Con i primi giorni di settembre salutiamo definitivamente l’aria vacanziera, il sole, i pantaloni corti e ricominciamo con il solito circo che comprende: sveglie ad orari improponibili, staffette degne dei migliori atleti olimpici per portare i bambini a scuola (di qualsiasi ordine e grado) e arrivare al nostro lavoro con un ritardo stimato che sia inferiore alla mezza giornata. Come ad ogni ripresa siamo tutti ricchi di ottimi propositi: palestra, linea, dare meno ascolto al capo, ecc. e come ogni anno il tutto finisce in un guazzabuglio di dimensioni epiche, soprattutto per quanto riguarda le attività extra scolastiche dei bambini. Ed è proprio di questo che vorrei parlarvi oggi…

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Cara maestra, ti scrivo…

maestra Nella mia vita come psicoterapeuta mi capita spesso di avere a che fare con le relazioni delle maestre e, ogni tanto, mi trovo davanti a scritti che hanno davvero poco a che fare con la professionalità che vi compete e che avete. Questa mia lettera, anche un po’ arrabbiata, oggi è per voi…

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Medea

Medea, foto Marco CaselliSembra quasi un paradosso: ci stiamo avvicinando al Natale e le cronache raccontano, di nuovo, di madri assassine o presunte tali; donne allo stremo che arrivano a uccidere i propri figli. Il solo pensiero non può che far accapponare la pelle! Tutti si domandano il perché del gesto, come, quando, con quali forze e, soprattutto, come è possibile che non ricordino nulla. Non conosco i singoli casi e non mi permetterei mai di sostituirmi a chi ha il compito di dar corso alla giustizia; ma forse si può cercare di riflettere insieme, perché la reazione istintiva è “NON MI RIGUARDA“, ma sono una madre anche io. Non può non riguardarmi.

La sindrome di Medea

Per chi non lo sapesse, Medea è una figura della mitologia greca: figlia della maga Circe e moglie di Giasone, massacra i suoi stessi figli per punire il marito che l’aveva ripudiata e abbandonata. Il caro vecchio Jung ci insegna che i miti racchiudono le principali pulsioni umane, nel bene e nel male. Questo non fa eccezione!
Medea è una donna LIBERA che AMA e vive il suo amore combattendo accanto al suo uomo e generandone i figli; quindi esprimendo la potenza estrema di questo sentimento. È, tuttavia, anche una donna fragile, che deve corrispondere ad aspettative alte della società in cui vive, che la vorrebbero madre modello e moglie devota. Ruoli che non riesce più a ricoprire dopo essere stata ripudiata sia dal marito per una donna più giovane, sia dalla società in cui vive che la ritiene, quindi, inutile… 2000 anni dopo la storia continua a ripetersi!
Nella società di oggi le varie Medea sono spesso accomunate da differenti livelli di disagio: familiare (abuso, tradimenti), sociale (famiglie povere, basso livello culturale e senza sostegno socio-economico) e personale (depressione anche post partum, stress, problemi psichici o fisici loro o dei figli). Insomma, sono persone/donne e madri che si sentono ABBANDONATE a loro stesse e a dover rendere conto di un ruolo che non sono più in grado di sostenere. Poco importa mascherarsi dietro a frasi fatte, quali “ma i figli sono l’amore più grande“; quando la disperazione arriva le luci si spengono.

E basta.

Chi quella luce l’ha persa non può che vivere questo momento in modo intollerabile e tutte le paure, le ansie e le fragilità sovrastano l’ennesima Maschera che viene chiesta loro: la mamma felice. Se si rimane da soli, però, è la Medea strega che vince.

cancellaL’oblio che salva o condanna

Molte delle donne che compiono questo gesto dicono di non ricordare nulla di quanto avvenuto e spesso rifiutano con forza anche solo l’idea di aver potuto compiere un gesto così atroce. Finzione? No, autodifesa! Il nostro essere umani ci rende vincolati a tutta quella serie di regole pratiche e morali che ci fanno sentire integrati e accettabili ai nostri occhi e al resto del mondo. Un gesto come quello non è, evidentemente, accettabile e dimenticare è l’unica cosa che permette a quelle donne di sopravvivere a quello che hanno fatto. Come tutti i meccanismi di difesa, però, non sempre funziona e chi di loro ricorda è condannata a morte da se stessa, prima ancora che da leggi. Ecco perchè spesso sentiamo parlare di omicidi associati a suicidi tentati o riusciti.

Prevenire? Dovremmo iniziare a farlo!

Una delle domande che il mondo si dimentica di farsi, davanti a notizie come quelle, è “cosa si sarebbe potuto fare prima?“; come sempre si dovrebbe partire dall’imparare a considerare i propri limiti come qualcosa da rispettare e non da ignorare in nome di “cosa gli altri vorrebbero che io fossi“. Quando la realtà diventa più difficile di quello che possiamo affrontare in quel momento, sapere di poter chiedere aiuto ad amici, familiari ed esperti può essere un’ancora di salvezza. Certo, anche la società che ci circonda potrebbe fare il suo, attivando politiche di welfare che affianchino le famiglie quando aspettano un figlio, ma anche dopo, sostenendo i genitori nel LORO percorso di crescita. Tutto questo nel settore pubblico manca quasi totalmente e il settore privato, spesso viene visto con diffidenza perché considerato troppo oneroso…non è vero! sono sempre più numerose le associazioni che attivano servizi a costi calmierati, proprio per venire incontro a chi ha bisogno di aiuto, ma deve anche fare i conti a fine mese!
Ma questa è un’altra storia e la si dovrà raccontare un’altra volta.

La stanza dei bambini

psicoterapia bambiniPronto dottoressa? Sono la mamma di X, avrei bisogno di un appuntamento per parlarle di mio figlio“. La maggior parte delle telefonate che ricevo comincia in questo modo: la richiesta di aiuto di qualcuno che si rende conto che da solo è difficile andare avanti. Ma quanto è difficile e doloroso alzare la cornetta e ammettere, davanti ad un perfetto sconosciuto, che un aspetto della nostra vita è ormai completamente fuori dal nostro controllo! Il lavoro nella stanza di analisi è spesso lungo e difficile e richiede una notevole dose di fiducia nel terapeuta a cui ci si affida…se poi ci si deve mandare il proprio figlio l’equilibrio è ancora più fragile. Una delle domande che mi rivolgono più di frequente i genitori è: “Ma cosa farete? Come farà a far guarire mio figlio?“. Oggi vorrei provare a raccontarvelo…

La psicoterapia con i bambini

Quando un bambino varca la soglia del mio studio, ha bisogno di capire chi sia io e come funzioni il mio modo di lavorare, tanto quanto io ho bisogno di capire chi sia lui/lei e quale sia la domanda che mi sta facendo. Già, perché coi bambini vale lo stesso principio che vale con gli adulti: sei tu a dover raccontare a me cosa ti fa stare male. Io non mi sono laureata ad Hogwarts, non so fare magie; però so ascoltare e lavorare con le persone che incontro perché (ri)scoprano la loro strada. Per questo motivo è necessaria una prima fase di assesment, ovvero valutazione, in cui propongo ai bambini disegni, fiabe e giochi per capire chi ho davanti. Finita questa fase incontro i genitori per raccontargli cosa ho visto e decidere, insieme, un piano di azione. Da qui in poi comincia il lavoro vero e proprio: io ho il compito di avere in mente gli obiettivi da raggiungere; la strada da percorrere, però, la costruisco col bambino! Potranno servire fogli di carta, tempere, giochi, tappetini e, perché no, farina e lievito…ogni bambino è diverso e ogni bambino ha il suo modo di esprimersi; quello che è certo è che la rotta viene tracciata assieme e che solo chi entra può valutare se e quanto gli sia utile. Probabilmente starete pensando che la gente mi paghi per giocare…beh, il mondo dei bambini si basa su cose concrete; i mostri sotto al letto non si sconfiggono di certo con una chiacchierata!
La parte che più preferisco, però, è quando si accorgono di quanto siano già bravi a camminare da soli, perchè scoprono di avere una cassetta degli attrezzi super fornita e facilmente afferrabile….è a questo punto che arriva il saluto e la voglia di continuare a giocare in altre stanze e con altre persone. Ovviamente anche i genitori sono arruolati in questo percorso, con incontri riservati a loro e, se necessario, compiti da svolgere!
Quale sia la strada di queste famiglie, poi, resta spesso un mistero; ma i miracoli accadono se si aiuta qualcuno e le persone che lo circondano a (ri)credere in se stessi, non vi pare?

scalaSolo uno tra i tanti…

Vorrei chiudere questo post raccontandovi la storia di Y, uno tra i tanti cuccioli che hanno varcato la mia soglia e di cui ho avuto, recentemente notizie.
Y era un bambino arrabbiato e spaventato: le maestre della prima elementare lo vedevano come una delle cause della confusione che regnava in classe; i genitori lo vedevano come il loro fallimento. Un bambino che picchiava, sputava, rispondeva a male parole e si rifiutava di stare alle regole. Il pediatra li spedì da me dando loro la certezza che glielo avrei “riaggiustato“. Richiesta assolutamente irrealizzabile! Nei due anni successivi passai il mio tempo a scoprire insieme a Y quanto di bello ci fosse in lui e quali fossero i modi più corretti e meno faticosi per far sì che anche il resto del mondo se ne accorgesse. Siamo passati (genitori inclusi) attravarso una relazione difficile con le insegnanti che volevano una certificazione di iperattività o di disturbo dell’apprendimento (dislessia e simili), abbiamo svoltato in una scuola nuova e più attenta; siamo passati attraverso urla, giochi, disegni e incontri con genitori che faticavano ad accettare cambiamenti e parti inamovibili di Y, ma ce l’abbiamo fatta. Un pomeriggio Y entra in studio e annuncia: “Sai, Marina, a me piace venire a giocare con te; ormai sei quasi una mia amica, ma io voglio giocare con gli altri bambini e camminare da solo!“. Tra abbracci e commozione ci siamo salutati e poi, qualche sera fa, il telefono squilla di nuovo…

“Pronto, dottoressa, scusi l’ora! Sono il papà di Y, volevo ringraziarla perché lei è stata la prima a dirci e a insistere col fatto che nostro figlio non fosse iperattivo, ma che dovessimo capire come incanalare la sua espressività. Bene, per assecondarlo l’anno scorso lo abbiamo iscritto a danza è un mese fa è stato preso dall’Accademia della SCALA! Grazie per averci ripetuto fino allo sfinimento che Y era un bambino da ascoltare e non da bloccare”.

La terapia con questo bimbo è finita 2 anni fa; lui oggi ha 9 anni, ed è bello sapere che credere in qualcuno, aiutarlo a guardarsi con  occhi diversi  e aiutare dei genitori a farlo insiem a lui/lei dia risultati sorprendenti!

Emozioniamoci

emozioniRieccomi qui…son passate ben tre settimane dall’ultimo post scritto e di cose ne son successe davvero tante: il primo compleanno di Carlottina (in casa nostra i primi compleanni durano quanto il carnevale di Rio…tra feste al’asilo, con amici e con parenti la baldoria è durata ben 4 giorni), l’inizio del corso di formazione sulla prevenzione all’abuso sui minori, l’inizio di nuove avventure lavorative e la chiusura di altre. Tante cose da fare e tante emozioni da provare. Già, le emozioni…grandi amiche o qualcosa da temere? Personalmente nelle emozioni ho imparato a starci col tempo: da giovane mi preoccupavano perché non sapevo bene come gestirle, poi però le ho scoperte alleate e meravigliose da esplorare, al punto che ne faccio il punto cardine del mio lavoro con grandi e piccini….

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Riflessioni della buona notte

nannaQulche  sera fa Gabri (3 anni) mi ha chiamato piangente dalla cameretta: aveva fatto un brutto sogno. Dopo averlo calmato e rassicurato mi ha chiesto di fermarmi un po’ con lui; voleva un po’ di coccole. Complice il fatto che ero tornata presto dal lavoro non mi è pesato dire di sì, ma ci son delle volte in cui è difficile! Il lavoro, la stanchezza quotidiana, i panni da stirare ecc. le scuse per dire “no, ora torno di là” sono infinite e spesso ci fanno scordare quanto sia difficile, per i nostri piccoli, il distacco della sera.

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Il ruolo delle regole nell’educazione dei bambini

confiniIl compito di educare è davvero complesso; soprattutto quando si scopre che, dall’altra parte, si ha a che fare con una persona con una testa e una visione del mondo diversa dalla nostra. Compito degli adulti è aiutare i bambini a crescere e a formarsi e, per questo, spesso ci si interroga sull’utilità di costruire delle regole che riguardino il vivere insieme e non solo; ma la paura di essere troppo rigidi è spesso dietro l’angolo.  Servono davvero le regole o è meglio un vivi e lascia vivere? Forse una risposta universale a questa domanda non esiste; ogni famiglia ha un suo modo di creare e gestire le regole di casa, ma una piccola riflessione sul come le si usa potrebbe non guastare!

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Guarire abbracciando: il bisogno di contatto del bambino

Carlotta malataLa scorsa notte l’ho passata praticamente in bianco: Carlotta aveva quasi 40 di febbre e, nonostante la tachipirina, faceva molta fatica a rilassarsi e a dormire da sola nel suo lettino. Come spesso accade nei piccoli ammalati, ricercava costantemente il mio contatto e si rannicchiava tra le mie braccia per essere coccolata. Alla fine, pur sapendo che mi sarei svegliata con la schiena rotta, l’ho portata nel lettone, dove ci siamo regalate entrambe sonnellini di 30/40 minuti fino al mattino (lei, rigorosamente con la tetta in bocca). Al risveglio, pur avendo ancora la febbre, la nostra piccola pulce stava decisamente meglio. Coincidenze o merito del contatto? Ovviamente sono andata ad indagare…

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Fasciatoio…o angolo delle coccole?

Mamme, diciamocelo…il fasciatoio è uno dei posti in cui si passa più tempo con il neonato: tra coliche, pannolini, massaggi e cambi di outfit, gira e rigira siamo sempre lì. Forse, però, non ci siamo mai fermate a pensare all’importanza che ha il tempo passato lì sopra; al di là dei semplici atti meccanici per la toeletta del bambino, il fasciatoio è anche uno dei posti in cui si sviluppa il legame mamma-bambino. Ci avevate mai pensato? Vediamo come…

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Depressione post parto: cos’è e come si affronta

L’arrivo di un bambino è una cosa meravigliosa, ma fare la mamma non è per niente facile! Per quanti figli si abbia, ogni volta che si lascia l’idilliaca realtà del reparto maternità, in cui tutti ti coccolano e tu non devi far altro che riposare, allattare e mostrare il nuovo nato, si ricomincia tutto da capo: sveglie notturne, umori ballerini, far coincidere ruoli e aspettative nostre e altrui. In alcuni casi, può capitare di sentirsi fragili e incapaci e l’umore comincia a risentirne. Nell’80% dei casi questo stato rientra da solo dopo i primi mesi, infatti si parla di baby-blues ed è una condizione non patologica perché è legata al fatto che la mamma abbia bisogno di tempo per adeguarsi fisicamente e psicologicamente alla nuova situazione (e vi posso garantire che non è un’impresa facile, nè esente a frustrazioni), ma c’è un piccolo 15% in cui questo malessere si trasforma in qualcosa di più serio e spaventoso: la depressione post parto.

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